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Venezia come laboratorio: lo sguardo di rob van den berg tra acqua, collettivi e vita di studio

Venezia come laboratorio: lo sguardo di rob van den berg tra acqua, collettivi e vita di studio

Il primo appuntamento di Studio Visit Venezia è dedicato a rob van den berg (Rotterdam, 1992), artista che da dodici anni ha scelto Venezia come luogo di vita e di lavoro. Tra il silenzio della laguna e l’energia condivisa dello studio zolforosso, il suo percorso intreccia memoria dei luoghi, logistica quotidiana e una relazione profonda con l’acqua.

L’intervista ripercorre il momento in cui il legame con la città si consolida, il ruolo dei collettivi artistici nella scelta di restare, le difficoltà pratiche di uno spazio limitato e di una geografia complessa, ma anche le possibilità che nascono proprio da questi vincoli.

Attraverso racconti di scorci minori, spostamenti in barca e vita di studio, emergono le tensioni tra il desiderio di andare altrove e la necessità di restare, facendo di Venezia un laboratorio vivo in cui la pratica artistica si nutre di fragilità, relazioni e continue scoperte.

Martina: Quando si è affermato il tuo legame con Venezia? Questo legame rimane saldo e vivo oppure sostieni che non sia così solido? 

rob van den berg: Ormai penso che sia molto solido. Ho avuto un periodo in cui non ce la facevo più, almeno pensavo, e volevo andare a Torino dopo l’accademia; era circa il 2018. Non vedevo tanto un futuro a Venezia, per come è fatta la città, un po’ congelata, e mi trovavo un po’ intrappolato: sempre gli stessi giri, stesse persone, stessi posti. E quindi avevo guardato altre città proprio per questo. Nel 2018 entro a zolforosso, e mi ha fatto cambiare idea: ci sono artisti giovani che vogliono stare qua, che vogliono rendere questa città vivibile, e avere uno spazio per progettare ed elaborare mostre, è molto importante. Ora, dopo dodici anni a Venezia, posso dire che il mio legame sia molto solido. A me poi piace tanto l’acqua: sono cresciuto a Rotterdam, in cui il mare non è tanto lontano, e mio padre aveva una barca a vela, e quindi ogni estate eravamo in mare. 

Martina: Attualmente ritieni che Venezia possiede e conserva ancora delle energie che come un motore generano creatività?

rob van den berg: Sì, penso di sì. Penso che questo ci sarà sempre, ma la parte più importante è la gente che gira e che genera energie. Venezia continua a ispirare, nella sua peculiarità: la presenza dei canali, andare a piedi, non ci sono macchine, ci sono questi palazzi pazzeschi di cui non ti rendi nemmeno conto, tanto sono affascinanti. Dopo dodici anni ancora noti qualcosa che prima non avevi visto: ogni volta scopri cose nuove. 

Venezia è sempre stata da secoli un luogo che ospitava diverse culture. Negli anni la presenza dei veneziani è leggermente diminuita ma è comunque rimasta la loro forte impronta. Di recente è arrivata un’onda positiva di artisti che sentono la necessità di abitare nuovi spazi, nuovi studi, con l’intento di organizzare eventi, mostre, riunioni, per darsi una mano a vicenda. Questo dà l’input di continuare a stare qua e a fare qua. 

Martina: Venezia vive e resiste all’acqua. Qual è per te la difficoltà principale che riscontri in questa città, sul pratico quindi immagino la logistica e i trasporti, mentre su un piano concettuale e di idee in cosa ti limita e in cosa invece ti spinge? 

rob van den berg: Non sono slegate le due cose. È vero, hai una mostra, devi fare un lavoro, ad esempio, e devi farlo a Murano, e poi devi trasportarlo e riportarlo in studio. La barca rende tutto più facile, infatti aiuto anche alcuni miei amici. È più facile perché non devi pagare nessuno, ma, dall’altra parte, girando in barca, vedi un altro lato della città e la vivi anche diversamente. La città è fatta per vederla dall’acqua, e quindi, facendo anche questi giri, scopri altre cose e altre dinamiche. È anche una modalità diversa: alla fine sei su una materia che non è solida. Ora capisco anche mio papà che, girando in barca a vela, deve tener conto dell’acqua e del vento. Girare in barca o anche a piedi a Venezia è proprio un’esperienza che ti segna. Ad esempio per la mia esperienza personale a Milano, prendo la metro e non riesco a vivere a pieno la città come qua. Non riesco a farmi la mappa mentale della città perché è proprio un’altra modalità di viverla. Qui ho la fortuna di girare in barca e a piedi, e vivo la struttura geografica della città, che mi porta ad altre riflessioni, che poi, per ognuno, sono diverse.

Martina: Ci sono scorci della città che ti ispirano? 

rob van den berg: Sì, ce ne sono diversi. Quando c’era ancora il Covid e facevo lo IUAV, dovevamo pensare a fare qualcosa a distanza, e con il mio gruppo di lavoro avevamo scelto questo posto, che è dietro l’Accademia di Belle Arti, una via che nessuno fa perché non è sulle strade principali. Durante la primavera fioriscono tanti fiori, e ho scelto di portarli lì per far rivivere la città dopo la chiusura forzata. Un altro posto è vicino all’ex Ospedale G.B. Giustinian, situato tra Zattere e Campo Santa Margherita. È una calle bruttissima, tutta in cemento: è un Rio Terà. C’era un canale, poi l’hanno interrato, e sono posti concettualmente strani, perché stai camminando sull’acqua. 

Martina: Pensi che la contaminazione tra di voi in studio, ha in qualche modo contribuito alla tua crescita personale e artistica? 

rob van den berg: Sì, assolutamente. A Rotterdam ho fatto un anno di Accademia là, ed ha tutto: laboratori di ceramica, metallo. Io facevo il primo anno e andavo sempre nell’atelier di quelli del secondo anno a vedere cosa facevano. Per un anno passavo prima ogni settimana, poi ogni due, e non cambiava niente. Qua a Venezia, invece, andavo a trovare la mia ragazza, al tempo, in Accademia, e tutti lavoravano, anche se non avevano materiali. Penso che questo sia un esempio per dire che, nella produzione, quando sei circondato da artisti che lavorano, impari. Impari a vedere, lo canalizzi tu e poi fai qualcosa di tuo. Anche qui, in studio a zolforosso, anche se tanti di loro sono pittori e io non faccio pittura, anche solo bere un caffè, o fare una cena o un pranzo, tiene vive le tue spinte artistiche. Avere attorno persone, andare a vedere mostre, ti spinge a fare. Se avessi preso uno studio da solo, non sarei andato avanti.

“Venezia continua a ispirare, nella sua peculiarità: la presenza dei canali, andare a piedi, non ci sono macchine, ci sono questi palazzi pazzeschi di cui non ti rendi nemmeno conto, tanto sono affascinanti” - rob van den berg

Martina: Perché restare a Venezia, o perché andarsene?

rob van den berg: Questo dipende dalle persone, non è per tutti Venezia. C’è chi la ama e chi va fuori di testa e deve andarsene, perché è più abituato a una città grande, o perché ha bisogno di più cose da fare. Per me non è così, almeno adesso: è piccola, ma è internazionale. C’è di tutto. C’è gente che viene da tutte le parti del mondo e dell’Italia, e io sono riuscito a trovare un equilibrio tra il sentirmi a casa e il conoscere posti, persone e istituti, come le mostre che ci sono e gli eventi, trovandomi in pace con questo. Ogni tanto devo scappare, ma penso che questo valga per tutte le città in cui vivi. Quindi cerco di andare via uno o due weekend al mese, che sia Milano o Bologna, o fare qualcosa fuori per staccare un po’. Penso che sia salutare. È vero che è piccola, ma con un po’ di impegno ci sono le cose da fare. È grande quanto un paesino, ma c’è molto più da fare. Io mi sto trovando bene, in questo momento. 

Martina: Cosa manca a Venezia rispetto alle altre città europee? 

rob van den berg: Manca lo spazio, questo è. Questo non si può cambiare, e lo spazio che c’è è in mano a dei privati: non si può costruire niente di nuovo. Ci sono palazzi sfitti che sarebbero da restaurare, solo che un privato aspetta di venderli a un albergo, perché non ha voglia di investire milioni di euro per rimetterli a norma. In più, a Venezia ci sono tante leggi e burocrazie. Gli affitti sono alti, gli spazi sono piccoli, vecchi, mentre se vai a Torino, in una città ex industriale, c’è relativamente tanto spazio e gli affitti sono bassi, per quello mi attirava e ci sono tanti spazi indipendenti. Ora, a Venezia, ci sono più spazi indipendenti: negli ultimi anni ci sono più collettivi, anche gallerie più indipendenti e meno commerciali. Questo mancava tanto a Venezia. Quello che facciamo noi, zolforosso, come collettivo, anche collaborando con altri collettivi e organizzandoci a vicenda quindi, ad esempio, fare riunioni, assemblee, mostre penso che possa portare anche un po’ di speranza per altri artisti che sono in Accademia o che hanno appena finito il loro percorso, di rimanere qua, di creare e di fare cose qua. È un po’ una cosa grass roots: se tu cominci a spingere qua, arrivano anche direttive da più in alto per creare nuovi spazi e iniziative.

Intervista a cura di Martina Giagnolini presso zolforosso studio

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