Lavorare con una galleria oggi: riflessioni su relazione e processo.
Ci sono episodi di Fatto a Mano che ci restano significativamente addosso. Quello con Alberta Pane, gallerista tra Venezia e Parigi, è uno di questi. Sarà per il tono calmo e determinato con cui racconta il proprio percorso, sarà per la chiarezza con cui rivendica la dimensione profonda del suo mestiere, sarà per la semplicità con cui descrive la galleria non come luogo di mercato, ma come spazio di trasformazione. È partendo da questa chiacchierata che nasce il desiderio di tornare su una domanda fondamentale per chi fa arte oggi: cosa significa davvero lavorare con una galleria? Spesso il primo pensiero di un artista, specie all’inizio del proprio percorso, è: “Quando entrerò in galleria?”. Come se fosse un punto d’arrivo. Una conferma. Una legittimazione. Ma la realtà, per chi lavora con consapevolezza, è molto diversa. La galleria non è una scorciatoia. Non è un contratto salvifico. Non è neanche un traguardo. Lavorare con una galleria è, piuttosto, un processo. Un patto professionale ed emotivo. Un investimento reciproco di tempo, cura, visione. Come ci ha detto Alberta Pane, “Ogni mostra è una nuova rinascita”. Ogni collaborazione è una relazione da costruire.

Prima ancora della proposta: chiarisci chi sei e definisci la tua ricerca artistica (dove ti stai muovendo)
In un sistema dell’arte sempre più saturo, non è solo il portfolio a fare la differenza. E neanche la quantità di opere, mostre, premi o call vinti, ovviamente fanno la differenza. Ma vogliamo partire dalla base, quello che contraddistingue un artista agli occhi di una galleria, ovvero la chiarezza del proprio percorso. Chi sei? Quali sono le domande che muovono il tuo lavoro? In quale direzione si evolve la tua ricerca? Che tipo di linguaggio attraversi, e perché? Una galleria lavora con artisti che hanno qualcosa da dire e il desiderio di farlo nel tempo lungo.
Come suggerisce Alberta Pane, è fondamentale chiedersi: “Il mio lavoro reggerebbe fra vent’anni? Rimarrebbe coerente, necessario, vitale?”
La coerenza di un percorso non sta nella ripetizione di una cifra stilistica, ma nella fedeltà a un’urgenza. Ecco la prima domanda che vale la pena porsi prima ancora di pensare a proporsi: Ho davvero chiarito la mia ricerca artistica o sto ancora cercando una forma?
La galleria non è una vetrina: è uno spazio di lavoro.
“Lo spazio è uno strumento di lavoro”.
Con questa frase Alberta Pane non sta solo parlando di metri quadri. Sta indicando un cambio di sguardo. La galleria non è una cornice neutra. Non è uno spazio che “contiene” l’opera, ma un luogo che ne condiziona la forma, il senso, la visione. Esporre in galleria non è un “mettere in mostra”. È un mettere in discussione, in relazione, in tensione. Pensare allo spazio, per un artista, significa considerare l’opera non come qualcosa di chiuso, ma come qualcosa che vive, risponde, interagisce. Alcune delle mostre più potenti realizzate nella Galleria Alberta Pane sono nate proprio da questa disponibilità: aprire lo spazio alla trasformazione, permettere all’opera di prendere corpo nel luogo, anche stravolgendolo. Ecco allora la seconda domanda che ti puoi porre:
Il mio lavoro dialoga davvero con lo spazio o si limita a occuparlo?

La galleria come processo condiviso
Un errore frequente è pensare alla galleria come a un luogo in cui “esporre”, farsi vedere, farsi vendere. In realtà, come emerge chiaramente nell’intervista con Alberta Pane, la galleria è prima di tutto un processo condiviso. Ogni mostra è un lavoro collettivo, fatto di tempo, di relazioni, di scambi. Non è un pacchetto da consegnare. Non è una vetrina da riempire. Esporre in galleria significa accettare di entrare in un sistema che richiede cura, coerenza, ascolto. Un sistema che si fonda sulla fiducia reciproca.
Per questo, prima di proporre il proprio lavoro, vale la pena chiedersi: Conosco davvero la visione della galleria a cui mi sto rivolgendo? La mia ricerca si inserisce con sincerità nel suo percorso?
Le relazioni che contano si costruiscono nel tempo
Una collaborazione non nasce da una mail. E nemmeno da un messaggio diretto su Instagram. Le relazioni, nel mondo dell’arte, si costruiscono lentamente. Frequentando le mostre. Partecipando agli eventi. Iniziando conversazioni informali. Mostrando interesse reale per ciò che accade. La verità è che le relazioni professionali più solide sono spesso quelle che nascono prima di essere professionali.
“Con alcuni artisti lavoro da quando ho aperto la galleria. È una questione di fiducia, di visione comune. Non potrei lavorare con qualcuno che non rispetto profondamente, anche come persona” – Alberta Pane
Un incontro può iniziare ovunque: in uno studio visit, in una performance, in una conversazione. Ma è solo con il tempo che si consolida. La galleria è una relazione, non un evento. Ed è proprio nel tempo che si gioca la vera selezione.
Perché una galleria è prima di tutto una relazione
Entrare in galleria non è un traguardo. È una soglia. Una soglia che si attraversa con pazienza, consapevolezza e desiderio di costruire. Come dimostra la storia e la pratica di Alberta Pane, la galleria non è un luogo di esposizione. È un luogo di visione condivisa. Un laboratorio, un’officina, un campo di prova. Per questo, prima ancora di cercare dove esporre, vale la pena chiedersi con chi lavorare. E soprattutto: perché.
In un sistema veloce, rumoroso e competitivo, ricordarsi che il tempo è una risorsa politica può fare la differenza. Perché il vero lavoro, nell’arte, si fa con chi non ha fretta. Con chi vuole costruire, non solo apparire. Con chi crede che ogni mostra sia, davvero, un atto fatto a mano.
Guarda anche l’intervista video pubblicata all’interno del format editoriale Fatto a Mano.
Si ringrazia la Galleria Alberta Pane e Martina Gracis per la disponibilità.
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