Cosa può significare “appartenere” a un padiglione nel 2025?
Nel 2025, parlare di padiglioni nazionali alla Biennale di Venezia non significa più semplicemente rappresentare uno Stato. L’identità si è fatta fluida, attraversata da storie diasporiche, pratiche transdisciplinari e prospettive queer. In un tempo in cui i confini si sfaldano e i linguaggi si moltiplicano, cosa significa veramente “appartenere” a un padiglione?
Da luogo di affermazione statale a spazio in cui si intrecciano appartenenze affettive, culturali e linguistiche, il padiglione nazionale sta attraversando un cambiamento profondo. A partire dal contesto artistico veneziano, città ospitante e crocevia di culture, questo articolo ripercorre l’evoluzione della rappresentanza artistica tra XX secolo e contemporaneità, interrogandosi su come oggi, non sia più fondamentale da dove si viene, ma cosa si vuole dire. Può quindi un padiglione rappresentare una comunità senza confini geografici? Cosa succede quando l’identità si racconta oltre la bandiera?

Venezia, città ospitante e spazio di dialogo tra culture.
Venezia è da secoli una soglia tra mondi. Porto mercantile, laboratorio di mescolanze, luogo dove lingue e commerci si intrecciano. Qui nacque Marco Polo, da qui partirono esploratori, artisti e intellettuali e mercanti. La città è da sempre un punto di partenza e di ritorno tra Oriente e Occidente.
La Biennale Architettura 2025, in occasione della 19. Mostra Internazionale di Architettura intitolata ‘Intelligens. Natural. Artificial. Collective’, a cura di Carlo Ratti, si presenta come un’edizione chiave per ripensare il ruolo dell’architettura in un’epoca di crisi climatica, conflitti e mobilità globale. E mai come oggi, il concetto di nazionalità entra in sovrapposizione con quello di appartenenza.
Venezia, dunque, non è solo cornice, ma parte attiva del racconto. Le sue architetture storiche convivono con le trasformazioni effimere dei padiglioni temporanei, mentre la città stessa si trasforma in un arcipelago espositivo.
Identità in movimento: la trasformazione del padiglione nazionale.
Nel XX secolo, il padiglione nazionale era un’estensione simbolica dello Stato. Le sue architetture, i temi, le opere esposte servivano ad affermare una visione unitaria, coerente, spesso celebrativa. Ma già da alcuni anni, in modo sempre più evidente, il concetto di appartenenza non corrisponde più a un’origine fissa, ma si manifesta come una traiettoria personale e collettiva, fatta di attraversamenti, storie diasporiche, posizionamenti culturali. I padiglioni non raccontano più un’identità da custodire, ma un’identità che si forma nel dialogo.
Un esempio chiaro è il Padiglione dell’Australia alla Biennale Architettura 2021, curato da Tristan Wong e Jefa Greenaway. Intitolato INBETWEEN, il progetto metteva in scena il rapporto tra culture indigene e non indigene, proponendo un padiglione come spazio condiviso e attraversabile. Più che “rappresentare” una nazione, INBETWEEN ospitava voci in dialogo, storie in movimento, creando un luogo in cui l’appartenenza veniva esperita, non dichiarata.

Appartenenze in movimento: pratiche ibride e identità plurali
Nel presente della Biennale, molti padiglioni sono curati o abitati da figure che appartengono a più culture, che parlano più lingue, che hanno vissuto in più paesi. L’appartenenza si manifesta nel contenuto, nel metodo curatoriale, nella scelta di artisti e opere.
I curatori e gli artisti non rappresentano più un’origine, ma un percorso. Portano con sé biografie diasporiche, prospettive fluide e approcci che attraversano più linguaggi. Non incarnano una nazione in senso tradizionale, ma ne mettono in discussione i confini, abitandone le soglie e amplificandone le contraddizioni.
E spesso è lo spettatore stesso a sentirsi chiamato in causa da un padiglione che non è “il suo”, ma che riflette qualcosa di profondo: una sensibilità, una lingua, un frammento di vissuto. La Biennale, in questo, diventa uno specchio collettivo, dove le appartenenze si rivelano meno anagrafiche e più affettive.
Il Padiglione del Giappone 2012: un padiglione che ricostruisce
Un esempio emblematico di trasformazione del padiglione nazionale è il Padiglione del Giappone alla Biennale Architettura 2012, curato da Toyoo Itō. L’edizione seguiva di poco il devastante terremoto e tsunami del 2011. Piuttosto che mostrare un’immagine compiuta e statica del paese, il padiglione diventava uno spazio di riflessione collettiva, un laboratorio di ascolto e ricostruzione.
Il progetto si intitolava Architecture. Possible here? Home-for-All, e coinvolgeva giovani architetti per immaginare rifugi temporanei per le comunità colpite. Non si trattava solo di esporre un’idea architettonica, ma di rappresentare un processo sociale: un padiglione come atto di cura, dove l’identità nazionale si scioglieva in una rete di pratiche partecipate.
Nel 2025, molti padiglioni sembrano ispirarsi a quell’approccio: progettare non per rappresentare, ma per raccontare ciò che si attraversa; per dare forma a un dolore, una domanda, una proposta. Il padiglione diventa così un luogo narrativo e dialogico, dove la “nazione” è un contesto, non un’etichetta.

Non da dove veniamo, ma dove ci riconosciamo.
Oggi, visitare i padiglioni della Biennale significa attraversare una geografia mutevole. Non è più scontato riconoscersi solo nel padiglione del proprio passaporto. Le voci che parlano nei vari spazi raccontano mondi complessi, posizionamenti etici, scelte estetiche. Il concetto di appartenenza non è scomparso, ma è diventato più profondo, intimo, situato.
Appartenere, nel 2025, non è più una condizione fissa, ma una scelta che si rinnova nel tempo, negli sguardi, nei dialoghi. È una costruzione che avviene per prossimità, empatia, affinità. La Biennale, con la sua geografia ibrida, ci invita a ripensare cosa significa sentirsi parte di qualcosa. Forse, allora, la domanda non è più: “Quale padiglione rappresenta la tua nazione?”
Ma piuttosto:
“Dove, tra queste architetture del presente, ti senti davvero visto?”
credit photos: Venice Biennale 2012: Architecture. Possible here? Home-for-all / Japan Pavilion copyright: Nico Saieh Padiglione Centrale_Giardini credit photo by Francesco Galli @Biennale website
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