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FATTO A MANO presenta Aurora Fonda: oltre il mercato, dentro la ricerca. L’arte contemporanea a Venezia – ep. 03

FATTO A MANO presenta Aurora Fonda: oltre il mercato, dentro la ricerca. L’arte contemporanea a Venezia - ep. 03

Aurora Fonda è la fondatrice della Galleria A plus A e della School for Curatorial Studies Venice, due realtà chiave nel panorama artistico contemporaneo veneziano. In questo terzo episodio di Fatto a Mano, Aurora ci racconta la genesi dei due progetti, nati dall'esigenza di creare spazi indipendenti per la sperimentazione artistica e la formazione curatoriale. Con un approccio che unisce teoria e pratica, la Scuola forma nuove generazioni di curatori, mentre la Galleria accoglie mostre site-specific e progetti innovativi. Venezia, con la sua unicità e complessità, si conferma cornice ideale per pensare e fare arte oggi.

Aurora: Sono Aurora Fonda, la cofondatrice della Galleria A plus A e della School for Curatorial Studies Venice.

Elena: Come sono nate queste due realtà a Venezia e soprattutto qual è stata la genesi sia della scuola per curatori sia della galleria. In particolare, cosa ti ha portato a scegliere Venezia come sede dell’istituzione?

Aurora: Venezia è stata una scelta quasi obbligata, essendo venuta qui a studiare Storia dell’arte a Ca’ Foscari e avendo iniziato a lavorare presso Palazzo Grassi come consulente, mi sono fermata qui a Venezia.

Per quanto riguarda la galleria, è stata anche questa una specie di scelta consequenziale, essendo la galleria sede del Ministero della Cultura sloveno e io sono slovena. Quando una mia collega ha deciso di abbandonare questa posizione è stata offerta a me, per cui ho seguito per anni il padiglione sloveno. Ne ho curato anche due edizioni, una nel 2001, una nel 2015. Quando la Slovenia ha deciso di andare all’Arsenale, io e il mio partner Sandro Pignotti abbiamo preso questa decisione di trasformare nel 2015 la galleria in galleria privata.

Invece, per quanto riguarda la scuola, essendo responsabile della galleria A Plus A già nel periodo chiamiamolo sloveno, avevo spesso dei tirocinanti che si lamentavano del sistema universitario, di come mancasse un aspetto pratico legato alle attività che non sono solamente quelle curatoriali, ma anche quelle che legate al management dell’arte delle mostre. Per cui ho pensato: se il pubblico non riesce ad offrire questo tipo di opportunità, facciamolo noi.

Era il lontano 2004 quando abbiamo iniziato il primo corso, della durata di tre settimane. A ogni edizione abbiamo sempre cercato di implementare, di capire quello che mancava, ed è una cosa che facciamo anche adesso, invitando determinati docenti e cercando di capire che tipo di direzione sta prendendo il fare mostre.

Elena: Torniamo alla galleria, perché questa galleria l’avete aperta nel 2003.

Aurora: La galleria esiste dal 98 ed è sempre stata sede del Padiglione sloveno e durante il resto dell’anno venivano organizzate mostre principalmente di artisti sloveni. Poi nel 2003, quando la mia collega ha deciso di intraprendere un altro tipo di carriera e l’ho rilevata io, ho cercato di aprirmi alla città, nel senso che, nel corso delle mostre, accoglievo progetti di artisti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, dello IUAV, oppure artisti della Fondazione Bevilacqua La Masa. Erano eventi che magari duravano due o tre giorni, però davano l’opportunità ai ragazzi di confrontarsi con gli spazi espositivi, di costruirsi un curriculum e di autopromuoversi.

Invece, con la Scuola abbiamo sostenuto un’attività analoga, in tutte le mostre del corso, abbiamo cercato di includere anche artisti locali, magari in dialogo con artisti internazionali, proprio per sostenerli, specie anche durante le Biennali, dove molte volte gli artisti emergenti veneziani non hanno assolutamente una vetrina.

Elena: Dal momento della sua apertura, la galleria ha avuto una visibilità importante fin dai suoi primi momenti, quindi ti volevo chiedere come è riuscita a inserirsi nel contesto veneziano in maniera così forte.

Aurora: Sicuramente ha inciso il fatto di aver studiato qui e di aver sempre avuto molti contatti con coloro che studiavano all’Accademia o che avevano anche terminato gli studi lì. Poi è arrivato lo IUAV, la conoscenza di altri curatori, come poteva essere la Bertola, oppure Luca Massimo Barbero, che mi ha permesso di ampliare ulteriormente tutte queste relazioni e  connessioni. Poi c’è il passaparola, nel momento in cui gli artisti venivano a sapere che c’era una galleria particolarmente sensibile e disposta ad accettare determinati progetti, essendo agli inizi non profit, e per cui non avevamo la necessità di dover selezionare delle opere perché fossero vendute, ci venivano proposti tanti progetti come performance, video, presentazioni.

Giorgio Andreotta Calò, con il suo gruppo Crash in progress, aveva totalmente stravolto la galleria con un’installazione immersiva e poi ci sono stati anche altri artisti che sono riusciti ad emergere anche a livello internazionale, forse più nazionale. Gli artisti italiani hanno difficoltà a uscire dall’Italia. Thomas Braida, Valerio Nicolai, Enej Gala, Paola Angelini sono autori che sono passati per la Galleria quando ancora erano “no name”.

Elena: Rimanendo sullo spazio in cui ci troviamo ora, vorrei chiederti qual è la filosofia di A Plus A e come si intreccia con il lavoro della Scuola?

Aurora: Si c’è un legame molto stretto con le attività della Scuola. Quello che noi cerchiamo di fare è di strutturare e pensare a delle mostre che comunque hanno un approccio curatoriale molto evidente, chiamiamo dei curatori, come Matt Williams che adesso lavora al Camden Centre di Londra, artisti che costruiscono e pensano le mostre per il nostro spazio. Mi viene in mente Jesse Darling che è stata tra l’altro anche Turner Prize, che ha fatto una mostra di disegni per noi con Beth Collar, Monilola Olayemi Ilupeju che è un artista di origini afro americane, che vive a Berlino, curata da Francesca Fialdini. Cerchiamo di avere costantemente degli interventi che sono pensati, che considerano e integrano lo spazio della Galleria, altrimenti c’è semplicemente attaccare i quadri alle pareti e lo troviamo di una noia mortale e fare i camerieri dell’arte anche no.

Generalmente anche gli artisti rispondono a questo nostro approccio. Secondo me lo spazio si presta, e questo non perchè è la nostra galleria, ma è veramente uno dei più belli spazi di Venezia, c’è una dinamicità tra il primo e il secondo piano, che permette di ideare degli allestimenti site specific.

Elena: Come gallerista, non so se ti consideri più gallerista o più curatrice, se ormai hai fatto pace con queste metà in te…

Aurora: direi che ho fatto pace.

The Animal That Therefore I Am, Mattia Sinigaglia – A plus A Gallery, Venezia

“L'arte è qualcosa di veramente speciale che può aprire gli occhi su tantissimi orizzonti però devi permettere agli artisti e all'arte di raccontare e di narrare, anche se non è sempre facile trovare queste cose."

Elena: Come riesci a conciliare la volontà di dare spazio allo sperimentalismo dell’arte contemporanea con la richiesta del mercato.

Aurora: Penso che dalla nostra filosofia SI sia un po’ capito che non seguiamo tantissimo il mercato. Ci sono degli elementi che magari coincidono e ci sono dei collezionisti che ci seguono sia a livello nazionale che internazionale. Il mercato è estremamente ampio e devi cercare di trovare la tua nicchia dove identifichi degli interlocutori che parlano il tuo stesso linguaggio.

Questo vale per gli artisti, questo vale per i curatori, questo vale anche per i collezionisti perché altrimenti rischi di snaturare un po’ il tuo modo di operare e quello che noi cerchiamo di fare, sia con le mostre del corso e sia con quelle della galleria, è produrre dei contenuti – come dicevo prima – non riusciamo a fare delle mostre che sono semplicemente un appendere opere alle pareti, cioè i contenuti devono essere il prodotto di una riflessione e di studi, sia da parte nostra che sia da parte dell’artista o degli artisti che espongono qui da noi. E’ una ricerca a doppio binario. L’arte è qualcosa di veramente speciale che può aprire gli occhi su tantissimi orizzonti però devi permettere agli artisti e all’arte di raccontare e di narrare, anche se non è sempre facile trovare queste cose.

Elena: La scuola per curatori è diventata, come la Galleria, un altro punto di riferimento non solo per la città di Venezia, ma anche per i giovani storici dell’arte che si vogliono interfacciare nell’ambito della curatela, che escono dall’università qui di Venezia, ma anche proprio a livello internazionale. Quali sono appunto le sfide principali che questa istituzione si pone nell’educare i nuovi curatori oggi.

Aurora: La scuola devo dire che in questi 21 anni di attività – perché quest’anno saranno 21 anni – si è posizionata molto bene a livello non solamente nazionale, come dicevi tu, ma anche internazionale e anche lì sinceramente cerchiamo veramente di educare delle persone che seguono un processo verso la realizzazione di mostre che hanno un senso. Magari se vi faccio un esempio è molto più semplice: adesso stiamo lavorando con i ragazzi del corso sul tema del desiderio, per cui prima di iniziare a costruire il progetto, ogni studente legge un libro partendo da Platone, arrivando fino a Freud e Žižek, poi in classe presentiamo e discutiamo i punti più significativi di ogni autore sul tema del desiderio.

In questo modo abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con diverse sfaccettature e prospettive di interpretazione di che cosa sia effettivamente il desiderio.

A seguito, poi, cominciamo a selezionare gli artisti, a cercare l’opera adatta, a creare una narrazione che in qualche maniera rispecchi anche la visione dei ragazzi. Per cui, diamo delle indicazioni, dei temi diamo degli strumenti perché secondo me il curatore prima di fare una mostra deve studiare tantissimo, deve essere preparato, altrimenti non avrà mai qualcosa di interessante da dire e questo è quello che cerchiamo di fare e di insegnare loro, però lasciamo una certa libertà di plasmare, pensare, discutere e dialogare assieme a noi e agli altri docenti quello che poi può essere il progetto di mostra. Questa è la cosa che rende peculiare la scuola e l’altro aspetto è dato dalla selezione dei docenti. Vogliamo veramente quei professionisti che sono delle eccellenze del campo, perché la qualità e il livello dei docenti fanno la differenza.

Elena: La scuola come bilancia la teoria con la pratica curatoriale, nell’effettivo, e quali sono stati poi anche i progetti più significativi che in questi ventun anni di scuola si sono fatti.

Aurora: L’aspetto teorico viene dato dalle lezioni con il confronto con professionisti e con la strutturazione teorica del progetto, dopodiché si passa alla fase pratica. I nostri ragazzi hanno l’opportunità di contattare direttamente gli artisti, di confrontarsi con loro, di organizzare il trasporto, le assicurazioni. Poi ovviamente c’è tutta la fase dell’allestimento della mostra che avviene in galleria, anche se abbiamo operato negli spazi esterni. La fase dell’allestimento è preceduta dalla strutturazione della campagna promozionale, dall’acquisizione di materiali e di altre cose relative all’aspetto pratico. Imparano tutto dalla A alla Z, io dico sempre una cosa: quando fai una mostra a Venezia poi la puoi fare ovunque, perché è una città talmente complicata a livello logistico. Fare esperienza in questo campo è notevole.

Elena: Hai nel cuore dei progetti che sono stati fatti negli anni da dei gruppi di studenti a cui hai tenuto particolarmente?

Aurora: Tutti i progetti ci stanno a cuore in realtà perché comunque hanno sempre una gestazione abbastanza lunga per cui ci rimangono nel ricordo e nella memoria, però c’è stato il Rob Pruitt’s Flea Market che avevamo realizzato con un curatore esterno, Tommaso Speretta, che era stato bellissimo. Aveva coinvolto quasi un centinaio di artisti locali e internazionali, trasformando la Galleria in una specie di mercatino. Poi The Breakfast Pavilion che avevamo realizzato con Marco Campardo, Lorenzo Mason e Luca Lo Pinto, ex direttore del Macro di Roma, dove c’era questa commistione tra opere d’arte e design, e il contributo di alcuni artisti, poiché durante gli opening preparavano le colazioni. Olaf Nicolai, Anna Sophie Berger, Nicole Wermers, tutti artisti che si erano inventati una colazione particolare. Poi mi è piaciuto molto il progetto dell’anno scorso sulla censura, Double Take, dove avevamo anche artisti come Ahmet Öğüt, Eva & Franco Mattes, Jesse Darling e poichè cerchiamo sempre anche di sfruttare quelli che sono i tesori nascosti della città di Venezia, in mostra una sezione era il frutto di ricerche effettuate all’Archivio Storico della Biennale per cercare quelle Biennali dove c’erano stati degli interessanti esempi di censura sia da parte degli artisti sia da parte della Biennale in sé o da altre istituzioni. Con foto di Graziano Arici. Per cui era una mostra in cui si respirava proprio questo tipo di processo che purtroppo sta diventando sempre più comune nelle nostre società.

Elena: L’essere curatore oggi. Secondo te è una figura che si sta avvicinando a quella dell’essere un buon artista o di manager? E quali sono poi le competenze su cui sicuramente voi state puntando attraverso la Scuola, in quanto più richieste dal mercato. Come vedi il futuro del lavoro curatoriale, in quest’era che sta andando sempre più verso il digitale?

Aurora: Allora io penso che le competenze di un curatore come diceva il famosissimo Harold Szeemann sono quelle di saper veramente fare tutto: da promuovere, scrivere un comunicato stampa, tenere in mano un martello, saper gestire assicurazioni e trasporti. Poi la cosa fondamentale che sottolineo nuovamente è che il curatore deve avere qualcosa da dire e deve essere qualcuno che ha il tempo di studiare e di approfondire la sua materia.

Non a caso all’estero, se tu vuoi diventare curatore in uno spazio istituzionale ti chiedono anche il dottorato di ricerca e secondo me hanno ragione. Ma come sviluppo della figura del curatore io penso che per esempio in Italia tutti coloro che studiano storia dell’arte forse potrebbero avere e dovrebbero avere un lavoro perché i curatori bravi, quelli che hanno anche quel pizzico di creatività dovrebbero cercare di ripensare un po’ gli allestimenti e le collezioni che ci sono nei vari musei.

Non è necessario fare grandi prestiti e spendere soldi in assicurazione e trasporti. L’Italia è talmente ricca di capolavori e ogni istituzione potrebbe fare un programma di mostre che durerebbero vent’anni o trent’anni solamente sfruttando ciò che hanno nei loro depositi, ma ovviamente devi avere delle idee, degli strumenti, delle capacità curatoriali per fare questo lavoro. Purtroppo in numerosi musei civici e statali manca questa figura, una grande lacuna poiché sono convinta che attraverso un buon progetto curatoriale le collezioni permanenti diventano più fruibili, più accessibili a un ampio pubblico, non solamente a quello dei professionisti o degli specialisti. Un allestimento noioso annoia e la visita diventa pesante.

Visto che probabilmente l’Europa perderà tutte le sue industrie e diventeremo un grande museo, ecco forse sarebbe il caso di incentivare questa attività.

Elena: Spero sarà così.

Aurora: Non succederà e lo dico subito. Troppa burocrazia e troppa lentezza. E poi ci sono sempre i vecchi baroni che hanno un terrore profondo dei cambiamenti che possano determinare la loro dipartita o, che ne so, che vengano marginalizzati.

Elena: Grazie e chiuderei facendo diciamo un riferimento alla città che ci sta ospitando, perché Venezia appunto è un luogo diciamo sospeso tra l’acqua e tra anche però il tempo perché ovviamente con l’acqua condiziona molto il tempo che si spende qui a Venezia. Cosa significa secondo te vivere qui, avere un’istituzione della sua portata in laguna e anche proprio il tuo lavoro in genere come gallerista e curatrice.

Aurora: La città è un bacino di stimoli e ricchezza veramente enorme. Partendo dalle varie mostre che vengono organizzate ogni anno, grazie alla presenza della Biennale e di varie istituzioni, ma anche istituzioni più piccole, ci sono numerose realtà non profit. Per cui è una città dove tutti vengono volentieri e nonostante sia così piccola è comunque internazionale come una grande capitale europea o mondiale. Infatti, capita camminando per strada di incontrare diverse persone del mondo della cultura, dell’arte, in tutti i periodi dell’anno.

E’ un peccato però che non siano adeguatamente valorizzati tutti i designer, gli artisti emergenti e non, i giovani curatori che cercano di portare avanti le loro attività. Purtroppo coloro che visitano la città generalmente hanno un tempo limitato che si concentra sulle grandi istituzioni e non hanno l’opportunità di conoscere quella che diciamo la Venezia vera.

Elena: Venezia è un luogo sospeso tra acqua e tempo. Per te cosa significa vivere e lavorare qui come curatrice e gallerista?

Aurora: Venezia è fantasia. Da questo lato è veramente la cornice perfetta per poter fare le proprie attività, sia nel campo dell’arte espositiva sia nel campo della pratica curatoriale. Per noi è come avere un manuale di storia della pratica curatoriale quando andiamo con i nostri studenti a visitare le mostre, ad analizzarle. Perciò, sì, Venezia per sempre.

Elena: Speriamo che si riesca ad accogliere per sempre.

Aurora: Basta che non affondi.

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